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TUTTO E’ COMPIUTO
Perdonare le offese
Dal Vangelo secondo Giovanni
Dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: ”Tutto è compiuto!”. E, chinato
il capo, spirò.
Gli stessi tre strumenti che avevano cooperato alla nostra caduta
sono usati per la nostra redenzione. Al posto dell’uomo disobbe-
diente, Adamo, l’uomo obbediente, Gesù; al posto della donna or-
gogliosa, Eva, un’umile vergine, Maria; al posto dell’albero nel mez-
zo del giardino, l’albero della croce. La Redenzione è ora completa.
Il lavoro che il Padre gli ha affidato è stato compiuto. Siamo stati
riscattati grazie a una battaglia il cui grido non era: “Schiaccia e uc-
cidi”, ma “Padre, perdonali”. Durante le ultime tre ore, Gesù si è
occupato delle cose del Padre e con la gioia dei forti, grida il canto
del suo trionfo: “Tutto è compiuto”.
PERDONARE LE OFFESE
Gesù dice: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno
perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri
peccati” (Mc 11,25). A questa scuola gli apostoli insegnano: “Non rendete a
nessuno male per male (Rm 12,17); anzi, “benedite coloro che vi perseguita-
no” (Rm 12,14). Ma la sua attuazione pratica è lontanissima dalle consuetudini
umane, nelle quali dominano i risentimenti e i rancori coltivati. Di qui l’impor-
tanza di quest’opera di misericordia che la Chiesa reca al mondo: l’incitamento
a far prevalere in tutti la “cultura del perdono”. Perdonare le offese significa
superare la vendetta e il risentimento.
PREGHIAMO:
O Signore, per vivere Te in mezzo agli uomini, uno dei più grandi rischi
da prendere è quello di perdonare, di dimenticare il passato dell'altro.
Perdonare e ancora perdonare, ecco ciò che libera il passato e immerge
nell'istante presente. Amare è presto detto. Vivere l'amore che perdona
è un'altra cosa. Non si perdona per interesse, non si perdona mai perché
l'altro sia cambiato dal nostro perdono. Si perdona unicamente per se-
guire Te. Padre, perdonami, fa' che sappia ricominciare sempre di nuovo
a convertire il mio cuore: per essere testimone di un avvenire.
LE ULTIME PAROLE
DI GESU’ IN CROCE
Veglia del Giovedì santo
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PREGHIAMO:
Signore Gesù Cristo, voglio aprire il mio spirito e il mio cuore alla medi-
tazione della tua santa passione. Intendo meditare le tue ultime sette
parole sulla croce, le tue ultime parole, prima che tu tacessi nel silenzio
della morte. Tu le hai rivolte a tutti. Le hai dette anche per me. Che io le
comprenda. Che non le dimentichi mai più, ma vivano e prendano forza
nel mio cuore senza vita. Pronunciale allora tu stesso per me, così che
io percepisca il suono della tua voce. Signore, fa' che io possa udire le
parole della tua misericordia e del tuo amore; fa' che io non manchi di
ascoltarle. Concedimi dunque, adesso, di accogliere con cuore docile le
tue ultime parole sulla croce. Amen.
CANTO: Misericordias Domini in aeternum cantabo.
PADRE, PERDONA LORO
PERCHE’ NON SANNO QUELLO CHE FANNO
Insegnare agli ignoranti
Dal Vangelo secondo Luca
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due mal-
fattori, uno a destra e uno a sinistra. Gesù diceva: ”Padre, perdonali,
perché non sanno quello che fanno”.
Tu pendi dalla Croce. Ti ci hanno inchiodato.
La tua anima è un mare di dolore, di desolazione, di disperazione.
I responsabili di tutto ciò son qui, ai piedi della tua croce e tu dici:
"Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Sei in-
comprensibile, Gesù. Tu ami i tuoi nemici e li raccomandi al Padre
tuo. Tu preghi per loro. Signore! se non fosse bestemmia direi che
tu li discolpi con la più inverosimile delle scuse: "non lo sanno”. Si
invece, che lo sanno. Sanno tutto! Ma hanno voluto ignorare tutto.
Non c'è cosa che si conosca meglio di quella che si vuole ignorare,
nascondendola nel sotterraneo più segreto del cuore. Ma nello
stesso tempo la si odia, e perciò le si rifiuta l'accesso alla chiara co-
scienza. E tu dici che essi non conoscono quello che fanno. Una co-
sa soltanto certamente non conoscono: il tuo amore per loro, per-
ché quello lo può conoscere solo chi ti ama.
Solo l'amore infatti, permette di comprendere il dono dell'amore.
(K. Rahner)
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PREGARE DIO PER I VIVI E PER I MORTI
La preghiera per gli altri, vivi o defunti, viene chiamata intercessione. In latino,
il verbo intercedere significa perorare la causa di qualcuno, camminare nel
mezzo, pronto ad aiutare ciascuna delle due parti o ad interporsi in favore di
una di esse. Nell’intercessione prendiamo su di noi i pesi di coloro per i quali
preghiamo: è una preghiera che fa riferimento al progetto di Dio e permette di
partecipare alla sua opera di salvezza, entrando in una specie di “paternità”
con Lui. Il Beato Giovanni Paolo II scriveva: «Dio ha affidato agli uomini la loro
stessa salvezza... Ha affidato a ciascuno tutti e a tutti ciascuno». Ecco ciò che
costituisce il cuore dell’intercessione, che si configura finalmente come un atto
d’amore.
PREGHIAMO
È facile, Signore, pensare alla tua croce
e commuoverci appena, il venerdì santo.
È la tua morte, Signore.
Ma quando si tratta di un figlio,
un fratello, un amico,
tutto, improvvisamente, diventa difficile
e cerchiamo un senso ed una risposta
che non possiamo trovare.
Quanto è piccola e fragile la nostra fede!
Questa è la nostra preghiera oggi:
rendi vera e forte la nostra fede;
aiutaci ad accogliere i tuoi progetti,
anche quando sono umanamente incomprensibili,
con la certezza che ogni cosa in te ha un significato.
Aiutaci a piangere, ma con speranza,
e a cantare la tua resurrezione non con le parole,
ma con la nostra vita.
CANTO: Laudate omnes gentes,
laudate Dominum.
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PADRE NELLE TUE MANI
AFFIDO IL MIO SPIRITO
Pregare Dio per i vivi e per i morti
Dal Vangelo secondo Luca
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta
la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel
mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: ”Padre, nelle tue mani con-
segno il mio spirito”.
0 Gesù, il più abbandonato dagli uomini, lacerato dal dolore, tu sei
alla fine. Quella fine in cui ad un essere umano viene tolto tutto,
persino la libera scelta tra il consenso o il rifiuto: tutto se stesso.
Questa, in realtà, è la morte. Ma chi prende, o cosa prende? il nul-
la? il destino cieco? La natura spietata? No, è il Padre! E' Dio, sa-
pienza ed amore insieme. Così tu ti lasci prendere e ti abbandoni in
piena confidenza a quelle mani lievi ed invisibili che per noi, incre-
duli, trepidi del nostro io, rappresentano la stretta alla gola, im-
provvisa e spietata, del destino cieco e della morte. Tu lo sai: sono
le mani del Padre. I tuoi occhi, nei quali si va facendo notte, con-
templano ancora il Padre, si fissano nella quieta pupilla del suo
amore e la tua bocca pronuncia l'estrema parola della tua vita: Pa-
dre, nelle tue mani raccomando il mio spirito.
Tutto doni a colui che tutto richiede. Deponi tutto, senza garanzia e
senza riserve, nelle mani del Padre tuo. Quanto è grande questo
dono, pesante ed amaro! Ciò che formava il peso della tua vita, tu
hai dovuto portarlo da solo: gli uomini, la loro volgarità, la tua mis-
sione, la tua croce, l'insuccesso e la morte. Ma ora hai finito di por-
tare: perché ora, tu puoi abbandonare tutto, anche te stesso nelle
mani del Padre. Tutto! Queste mani sorreggono così bene, così de-
licatamente. Come mani di mamma. Esse avvolgono la tua anima,
come si racchiude un uccellino nelle mani, con cautela. Adesso più
nulla è pesante, tutto è leggero, tutto è luce e grazia, tutto è sicu-
rezza, al riparo del cuore di Dio, dove ci si può sfogare piangendo
ogni affanno e dove il Padre asciuga dalle guance le lacrime dei
suo bambino, con un bacio. (K. Rahner)
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INSEGNARE A CHI NON SA
Educare significa “condurre fuori”, “portare alla luce” le potenzialità della vita
personale, le dimensioni dello sviluppo (affettiva, sociale, intellettuale, etica,
fisica) che caratterizzano tutte le età generazionali e i diversi ambienti di vita.
Ma c’è anche, e soprattutto, un aspetto legato all’ignoranza religiosa, al disco-
noscimento delle verità della fede, che rende i cristiani incapaci di comunicare
le ragioni della loro fede e della loro speranza all’uomo d’oggi. L'opera di miseri-
cordia spirituale che richiama il dramma dell’ignoranza nelle cose riguardanti la
fede, purtroppo, tocca una forte percentuale delle persone del nostro tempo.
PREGHIERA
Signore Gesù, aiutaci ad essere Chiesa
che incarna il tuo stesso stile:
uno stile capace di educare l'uomo di oggi
alla vita buona del Vangelo,
uno stile capace di uscire
verso le periferie esistenziali e della storia,
per annunciare a tutti la Buona Notizia.
CANTO:
Ubi caritas et amor, ubi caritas, Deus ibi est.
DONNA ECCO TUO FIGLIO
FIGLIO ECCO TUA MADRE
Consolare gli afflitti
Dal Vangelo secondo Giovanni
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre,
Maria di Cleopa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì
accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ec-
co il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel
momento il discepolo la prese nella sua casa.
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Ogni madre è visibilità dell’amore, è domicilio di tenerezza, è fedeltà
che non abbandona, perché una vera madre ama anche quando non è
amata.
Maria è la Madre! In lei la femminilità non ha un’ombra, e l’amore non
è inquinato da rigurgiti di egoismo che imprigionano e bloccano il cuo-
re.
Maria è la Madre! Il suo cuore è fedelmente accanto al cuore del Figlio
e soffre e porta la croce e sente nella propria carne tutte le ferite della
carne del Figlio. Maria è la Madre! e continua ad essere Madre: per
noi, per sempre!
CONSOLARE GLI AFFLITTI
Esistono varie afflizioni, vari tipi di sofferenze, ma c’è un’afflizione essenziale,
quella che Sant’Agostino indica con la nota espressione: “Il nostro cuore è inquie-
to”. Possiamo precisare: è afflitto, è sofferente. Questa afflizione essenziale con-
siste nella mancanza di Dio e nella brama di avere Dio. E questa afflizione essen-
ziale può essere consolata solo dall’amore di Dio. Il nostro cuore sarà inquieto fin-
ché non troverà riposo in Dio e nel suo amore.
PREGHIERA
O Maria, in quel Figlio tu abbracci ogni figlio
e senti lo strazio di tutte le mamme del mondo.
O Maria, le tue lacrime passano di secolo in secolo
e rigano i volti e piangono il pianto di tutti.
O Maria, tu conosci il dolore… ma credi!
Credi che le nuvole non spengono il sole,
credi che la notte prepara l’aurora.
O Maria, tu che hai cantato il Magnificat,
intonaci il canto che vince il dolore
come un parto da cui nasce la vita.
O Maria, prega per noi! Prega perché arrivi
anche a noi il contagio della vera speranza.
CANTO: Magnificat anima mea Dominum
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PREGHIAMO:
Nada te turbe, nada te espante: quien a Dios tiene nada le falta!
Nada te turbe, nada te espante: solo Dios basta!
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza”: sono le parole del mio lamento.
Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.
Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini,
rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
“Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico”.
Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
Da me non stare lontano, poiché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta.
Nada te turbe, nada te espante: quien a Dios tiene nada le falta!
Nada te turbe, nada te espante: solo Dios basta!
Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
perché egli non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito.
Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano.
Nada te turbe, nada te espante: quien a Dios tiene nada le falta!
Nada te turbe, nada te espante: solo Dios basta!
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DIO MIO, DIO MIO,
PERCHE’ MI HAI ABBANDONATO?
Consigliare i dubbiosi
Dal Vangelo secondo Marco
Venuto mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del po-
meriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: “Eloì, Eloì, lema sabactà
ni?” che significa: ”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
In realtà, tutto era nell’oscurità! ”Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”. E’ il pianto che esprime il terribile mistero di un Dio
abbandonato da Dio stesso. Il Figlio chiama suo Padre, Dio. Che
contrasto con quella preghiera che egli un giorno aveva insegnato:
“Padre nostro, che sei nei cieli ….”! Stranamente e misteriosamen-
te, la sua natura umana sembra separarsi dal Padre celeste, eppu-
re non è così: come potrebbe altrimenti invocarlo dicendo: “Dio
mio, Dio mio”? Come la luce e il calore del sole sembrano scompa-
rire quando si frappongono le nuvole, sebbene il sole rimanga nel
cielo al di là delle nuvole, così è ora per Gesù: il volto del Padre ce-
leste sembra scomparire in quel terribile momento in cui egli pren-
de su di sé i peccati del mondo. Gesù assume questa sofferenza
per ognuno di noi, affinché possiamo capire che cosa terribile sia
per la natura umana essere privati di Dio, della sua consolazione.
CONSIGLIARE I DUBBIOSI
Il consiglio verso il dubbioso è espressione di amore, condivisione e misericor-
dia come forma e anima dell’agire cristiano. Solo così le nostre parole entrano
nell’intimo della mente e chi le riceve si sente amato prima ancora che giudica-
to. Fuori da questo orizzonte, il rischio di dare un consiglio per mostrare la no-
stra superiorità è sempre all’erta. È urgente, invece, farsi carico dell’altro, di-
ventare solidale con lui, e per paradossale che possa sembrare, dubitare e ri-
cercare con lui. Non con l’arroganza di chi ha già raggiunto la verità, ma con la
passione e il desiderio di ricercarla insieme, pur sapendo di avere ricevuto già
in dono la certezza della fede. E poiché “la fede viene dall’ascolto” (Rm 10,17)
è necessario che chi è chiamato a dare consiglio sappia far tesoro del silenzio.
Prima di indicare la strada che un altro deve percorre è necessario che io per
primo abbia fatto quel percorso perché la mia parola sia credibile e il consiglio
offerto efficace.
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OGGI SARAI CON ME IN PARADISO
Ammonire i peccatori
Dal Vangelo secondo Luca
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: ”Non sei tu il Cristo?
Salva te stesso e anche noi”. Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu
hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente,
perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto
nulla di male. E aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel
tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradi-
so”.
Tu sei in agonia e tuttavia nel tuo cuore traboccante di dolore c'è
ancora posto per la sofferenza altrui. Stai per morire, e ti preoccupi
di un criminale il quale, pure nei tormenti, deve riconoscere che il
suo martirio infernale non è una pena immeritata nei confronti del-
la sua vita malvagia. Vedi tua Madre, e ti rivolgi anzitutto al figlio
prodigo. L’abbandono di Dio ti stringe la gola, e tu parli di Paradiso.
I tuoi occhi si ottenebrano nella notte di morte e ravvisano ancora
l'eterna luce. Morendo ci si preoccupa solo di se stessi, poiché gli
altri ci lasciano soli e abbandonati, e tu invece ti dai pensiero di
quelle anime che devono entrare con te nel tuo Regno. Cuore d' in-
fìnita misericordia! Cuore forte ed eroico! Un miserabile delinquen-
te ti prega di un ricordo e tu gli prometti il Paradiso. Tutto si rinno-
verà quando sarai morto? Una vita di peccati e di vizi può trasfor-
marsi così rapidamente, solo che tu te ne avvicini? Se tu pronunci
sopra un'esistenza le parole della assoluzione, vengono graziati e
trasformati persino i peccati e le bassezze ripugnanti di una vita cri-
minale, a tal punto che nulla più ne impedisce l'ingresso nella santi-
tà di Dio. Tutto ciò che rimaneva ancora in lui come opera del Pa-
dre tuo, questa fiamma lo illumina in un istante; e tutto ciò che,
per colpa della creatura ribelle era sbarrato a Dio, viene distrutto
dall'amore. Così il ladrone entra con te nel Paradiso del Padre.
( K. Rahner)
AMMONIRE I PECCATORI
Il peccato, agli occhi della fede, è la peggior disgrazia che possa capitarci. Dare
una mano al fratello perché se ne liberi, significa volergli bene davvero. “Chi
riconduce un peccatore dalla sua via di errore – scrive l’apostolo Giacomo –
salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati” (Gc
5,20). E la Lettera ai Galati: “Quando uno venga sorpreso in qualche colpa, voi
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che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza” (Gal 6,1). La correzione fraterna
è però iniziativa delicata e non priva di rischi. Così pregava a questo proposito
sant’Ambrogio: “Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, conce-
dimi di provarne compassione e di non rimproverarlo altezzosamente, ma di ge-
mere e piangere, così che mentre piango su un altro, io pianga su me stesso”.
PREGHIAMO:
Ubi caritas et amor, ubi caritas, Deus ibi est.
Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo
nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare i suoi benefici.
Ubi caritas et amor, ubi caritas, Deus ibi est.
Egli perdona tutte le colpe, guarisce tutte le malattie; salva dalla fossa la
tua vita, ti corona di grazia e di misericordia.
Ubi caritas et amor, ubi caritas, Deus ibi est.
Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe.
Ubi caritas et amor, ubi caritas, Deus ibi est.
HO SETE
Sopportare pazientemente le persone moleste
Dal Vangelo secondo Giovanni
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta,
disse per adempiere la Scrittura: "Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno d’a-
ceto; posero per ciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e
gliela accostarono alla bocca.
Si ritiene che la bevanda di un misto aceto fosse un atto di pietà, ma
l’intento di Giovanni però non sembra quello della cronaca. Rileggen-
do il Sal 69,22 dove ad un condannato viene dato l’aceto, peggioran-
do la sua condizione: “hanno messo nel mio cibo veleno e quando
avevo sete mi hanno dato l’aceto” sembra indicarci una interpreta-
zione diversa. Gli uomini alla sete-amore di Gesù rispondono con un
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gesto di rifiuto. E Gesù, prendendo l’aceto, sopporta anche questo
peso… Ecco il grande messaggio: l’amore di Gesù rimane fedele no-
nostante tutti i rifiuti e i gesti di disprezzo!
SOPPORTARE PAZIENTEMENTE LE PERSONE MOLESTE
Molesto è qualcuno o qualcosa che provoca sofferenza, fatica, pesantezza; che
provoca un lavoro extra. Mentre nella lingua parlata il verbo sopportare ha as-
sunto una colorazione negativa e piuttosto passiva (un “restare sotto” un peso
che non si può evitare), nella sua etimologia greca porta con sé un significato
attivo e positivo: è uno stare eretto di fronte a qualcuno o qualcosa con fermez-
za, un portare sopra di sé, tenendo fermo, resistendo all’urto con il coraggio
della pazienza. E pazienza è la capacità anche di patire. È l’attitudine cioè di un
forte di fronte al nemico, alle avversità, al dolore.
PREGHIAMO:
Oh, oh, oh, adoramus Te, Domine.
Sono sfinito dal gridare, la mia gola è riarsa;
i miei occhi si consumano nell'attesa del mio Dio.
Sono più numerosi dei capelli del mio capo
quelli che mi odiano senza ragione.
Per te io sopporto l'insulto e la vergogna mi copre la faccia;
sono diventato un estraneo ai miei fratelli,
uno straniero per i figli di mia madre.
Ma io rivolgo a te la mia preghiera, Signore,
nel tempo della benevolenza.
O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi,
nella fedeltà della tua salvezza.
Mi aspettavo compassione, ma invano,
consolatori, ma non ne ho trovati.
Mi hanno messo veleno nel cibo
e quando avevo sete mi hanno dato aceto.
Io sono povero e sofferente: la tua salvezza, Dio, mi ponga al sicuro.
Oh, oh, oh, adoramus Te, Domine.